Com’è iniziata la sua carriera da imprenditore?
La mia carriera di imprenditore è iniziata nel ’62. Dal ’58 al ’62 ho fatto il farmacista, poi dal ’62 sono stato sia imprenditore che farmacista. È iniziata nel senso che mi ero un po’ stancato di fare il farmacista perché era un mestiere abbastanza chiuso, limitato, nonostante io l’avessi ampliato organizzando le vendite all’ingrosso per province di prodotti farmaceutici di uso veterinario. Era lo stesso un mestiere che mi stava un po’ stretto e pensavo che se mi si fosse presentata una buona occasione mi sarei messo a fare anche qualcos’altro. È arrivata l’occasione un giorno parlando con un mio amico di Firenze, uno di Mirandola che lavorava a Firenze che aveva un laboratorio di soluzioni iniettabili mi disse che cominciavano gli ospedali a richiedere dei set per fleboclisi sterili monouso fatti tutti di plastica e morbidi. Questa per me era una novità: avevo frequentato ospedali come propagandista della Pfizer, conoscevo un po’ il mestiere, ho preso delle informazioni, mi è piaciuta l’idea e mi sono messo a produrre deflussori nel garage di casa con tre operai.
Quali sono stati gli incontri significativi, determinanti per la sua vicenda professionale?
Di incontri significativi ce ne sono stati tantissimi, perché ho conosciuto durante la mia carriera professionale degli opinion leader delle diverse branche della medicina, per le quali ho fatto dei prodotti, quindi sono stati tutti incontri significativi. Il più significativo di tutti tuttavia è stato il primo, quello con il professor Confortini di Padova, che mi ha dato l’idea di poter realizzare impianti per l’emodialisi.
Com’è stato partire come rappresentante farmaceutico e poi vendere la sua azienda alla ditta Pfizer per cui lavoravi?
Non è stato molto emozionante in quanto io ho smesso di fare il propagandista della Pfizer nel 67 e l’azienda gliel’ho venduta nell’86, cioè erano già quasi 20 anni che facevo l’imprenditore e avevo già creatotre aziende. Però il direttore della Pfizer che è venuto a firmare il contratto si era informato sulla mia persona e aveva trovato negli archivi della sua società quello che io avevo fatto nei tre anni in cui avevo lavorato per loro.
A quali innovazioni produttive si lega lo sviluppo delle aziende da Lei fondate?
E’ una risposta lunga: cominciando dalla prima azienda, la Sterilplast, la cosa innovativa è stata la realizzazione in plastica usa e getta dei presidi medico-chirurgici che prima erano tutti realizzati con gomma e silicone da risterilizzar. La seconda è stata il metodo di sterilizzazione che abbiamo messo a punto primi in tutta Italia, cioè la sterilizzazione con l’ossido di etilene, un gas che a quei tempi serviva soltanto nei mercati di frutta e verdura per la disinfestazione di quei prodotti. Poi, piano piano, la Dasco ebbe come innovazione il rene artificiale, prima in Europa a produrre questo tipo di impianto che serviva appunto per trattare i nefropatici.. Morivano a quel tempo in Italia dalle duemilacinquecento alle tremila persone per insufficienza renale, cioè circa quaranta persone ogni milione di abitanti. Quindi il rene artificiale è stato il prodotto innovativo della Dasco. La Bellco, a sua volta, realizzò prodotti tecnicamente innovativi rispetto a quelli che produceva la Dasco. E’ troppo lungo spiegare perché innovativi: possiamo dire in breve che però mentre la Dasco produceva impianti centralizzati, che servivano dagli otto\dieci ai ventiquattro posti letto, con la Bellco abbiamo fatto dei preparatori singoli in modo che ogni paziente aveva il suo tipo di preparatore e poteva fare un tipo di dialisi più adatta alle sue necessità. La terza azienda è stata la Dideco che, per quanto riguarda il mercato europeo, come prodotti innovativi aveva ossigenatori, circuiti per la circolazione extracorporea, apparecchi per l’autotrasfusione e apparecchi per l’aferesi e plasmaferesi (per il prelievo di un donatore soltanto di alcuni componenti del sangue, globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). L’ultima, la DAR, ha fatto addirittura prodotti che non esistevano, abbiamo reso disposable tutti i presidi per anestesia e rianimazione creando un mercato che non esisteva. Questi sono gli aspetti innovativi delle quattro aziende.
Qual è stata la soddisfazione professionale maggiore?
La soddisfazione professionale maggiore è stata sicuramente quella di poter rioffrire la vita a delle persone destinate alla morte. Con la dialisi noi abbiamo proprio avuto questa grandissima soddisfazione, offrire la possibilità di continuare a vivere una vita abbastanza accettabile ai nefropatici che fino ad allora, come ho detto prima, morivano tutti inesorabilmente. Questa è stata il massimo delle soddisfazioni possibili.
Qual è stato l’ostacolo principale?
Ogni azienda ha avuto i suoi ostacoli. Un ostacolo molto significativo è vendere tecnologie innovative e dover addestrare il personale sia medico che infermieristico a quelle nuove tecnologie. Questa è stata una degli aspetti più difficili da affrontare. Poi tante altre, come l’incasso dei crediti, ma ancora quarant’anni dopo siamo alla stessa situazione: incassare i crediti degli ospedali è sempre stato molto difficile e molto laborioso, adesso come quarant’anni fa.
Vuole raccontarci un aneddoto che ama citare?
Un aneddoto? Beh, vi racconto questa: sono stato condannato in pretura a Mirandola perché, come azienda Dideco, ho venduto dei prodotti non registrati dal Ministero e mi hanno concesso la facoltà di cambiare la pena, che sarebbe stata una pena di tipo penale in una multa, cinquecentomila lire di allora. Parlo del 1981/82. Però il giudice nella sentenza mette per iscritto che io avevo fatto regolare domanda al Ministero da oltre un anno e non avevo ancora ricevuto risposta. Io non ho fatto altro che inviare la copia di questa sentenza in quaranta/cinquanta ospedali che servivo in Italia per la chirurgia cardiaca e in una settimana il Ministero mi ha concesso tutte le autorizzazioni. Questo è stato un aneddoto da raccontare.
Quali sono state, a suo avviso, le ragioni e i punti di forza della sua affermazione professionale?
Penso che siano state quelle di avere dei prodotti innovativi, offerti sul mercato al momento giusto, perché il prodotto ha bisogno anche della occasione giusta. A volte il pericolo è presentare i prodotti non tempestivamente, troppo in anticipo o troppo in ritardo. Il momento giusto è molto importante per il mercato e il prodotto deve essere innovativo.
Ha attraversato nel tempo tutte le tipologie di Imprese, da quella artigianale, alla Società, dall’azienda Parastatale alle Multinazionali: quali sono gli aspetti positivi e negativi di ciascuna?
È una domanda per cui occorrerebbe almeno una mezz’ora per rispondere. Direi che nessuna delle aziende che io ho creato era davvero artigianale: le aziende cominciavano da subito con una produzione ben definita e direi più industriale; soltanto che all’inizio era una piccola azienda, in quanto non avevo la possibilità di un’organizzazione di vendita già costituita per commercializzare il prodotto nella quantità che il prodotto avrebbe richiesto. La seconda fase è sempre stata quella delle multinazionali. Ogni azienda l’ho sempre venduta alle multinazionali, perché le multinazionali erano rappresentate in tutto il mondo e avevano migliaia di venditori in tutto il mondo. Un’azienda anche piccola, come è stata per esempio la DAR, che quando l’ho affidata alla Mallinkrodt americana, aveva quaranta miliardi di fatturato. In cinque o sei anni l’ho portata circa a centoventi miliardi di fatturato, e questo grazie all’organizzazione della multinazionale. È la storia che si è ripetuta sempre anche con le altre società, perché le multinazionali hanno possibilità infinite di reti di vendita.
Citiamo una sua affermazione contenuta nel libro La plastica della vita, che dice: “L’imprenditore cerca il cambiamento, lo sfrutta come un’opportunità”. Proporrebbe questa frase per un giovane imprenditore?
Dipende dal tipo di imprenditore. Bisogna vedere se uno ama il rischio o non ama il rischio e accetta di fare un progetto che resta senza risposta per un buon 50%. Il rischio è sempre quello. Il rischio di impresa quando si fa un cambiamento o si cambia qualcosa, è difficile da affrontare. Bisogna che ci sia la persona adatta ad accettare il rischio che il cambiamento porta inevitabilmente con sé.
Che cosa ha determinato la nascita e lo sviluppo del settore biomedicale a Mirandola?
La nascita è legata alla produzione di prodotti generici, cioè presidi di plastica monouso. Lo sviluppo è stato prodotto comunque dalla dialisi. Lo sviluppo di Mirandola è dovuto alla dialisi.
Come si sono modificate le prospettive di crescita e di sviluppo negli ultimi anni?
Negli ultimi anni bisogna distinguere azienda per azienda . Se noi guardiamo il distretto, esso è costituito dal 70% da sette o otto multinazionali. Ognuna ha la sua storia e i suoi problemi, prodotti diversi dagli altri, quindi trovare un’unica risposta è impossibile. Bisognerebbe dare una risposta diversificata per ogni grande azienda.
Quali sono, a suo avviso, i problemi e le potenzialità che oggi il distretto si trova a fronteggiare?
I problemi un po’ comuni a tutte queste aziende, diverse fra di loro. sono sicuramente gli alti costi perché noi abbiamo altissimi costi di produzione, dovuti al costo del personale e ai crediti degli ospedali. I costi sono talmente alti che ci consentono di produrre soltanto dei prodotti che siano innovativi e quindi siaMo un po’ fuori dalla concorrenza; oppure possiamo realizzare dei prodotti automatizzati, cioè costruiti in modo automatico con delle macchine. Per esempio la Dar produce trenta milioni di un filtro che viene usato in anestesia. Trenta milioni di pezzi giustificano un impianto automatico che può funzionare di giorno, di notte, al sabato e alla domenica, senza bisogno che gli operai ci mettano le mani, e quindi i costi sono assolutamente bassi e siamo competitivi anche con la Cina. Invece, appena ci dobbiamo mettere le mani, rispetto ai Paesi emergenti non siamo concorrenziali. Quindi dobbiamo cercare sempre dei prodotti innovativi.